Essere Genitori: tra Bowlby e Bettelheim

Essere Genitori: tra Bowlby e Bettelheim

Da “una base sicura “ ( J. Bolwby-ed. Cortina-1988 ) :

“..la maggior parte degli essere umani desidera avere dei bambini e desidera anche che i propri figli crescano sani, felici e fiduciosi di se’. …impegnarsi a fare i genitori significa perciò mirare in alto…”

Bolwby è un etologo prima ancora di dedicarsi alla psicologia; costruisce la sua teoria dell’attaccamento sulle osservazioni del mondo animale. Esistono dei comportamenti innati che tengono i cuccioli vicini alla madre; questo consente la protezione dai predatori e la sopravvivenza della specie. Avviene la stessa cosa anche negli esseri umani. Esistono degli schemi comportamentali innati che avvicinano la madre al bambino (per es. il pianto); come i genitori rispondono a questi schemi è però in parte dovuto alle loro esperienze (come hanno vissuto l’infanzia, l’adolescenza ecc..).

Secondo l’autore “la caratteristica più importante dell’essere genitore è fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste , rassicurato se spaventato….essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma intervenendo attivamente solo quando è necessario”.

Bettelheim scrive in “Un genitore quasi perfetto” (ed Feltinelli-1987):

”l’errata convinzione moderna è che i problemi non dovrebbero presentarsi, e se ciò accade è colpa di qualcuno; questo causa una tremenda infelicità in seno alla famiglia, e aggrava le difficoltà iniziali, talvolta mettendo a repentaglio persino la validità stessa della famiglia e del matrimonio… Un antico proverbio cinese dice che nessuna famiglia può appendere alla porta il cartello ‘Qui non ci sono problemi’”.

E ancora:

“per poter crescere bene un figlio non si dovrebbe tentare di essere genitori perfetti, così come non bisognerebbe aspettarsi dai figli che siano o diventino individui perfetti. La perfezione non è alla portata dei comuni esseri umani; gli sforzi per conquistarla di solito interferiscono con quella reazione indulgente all’imperfezione altrui, inclusa quella dei nostri figli, che da sola rende possibile la buona riuscita delle relazioni umane.”

Queste frasi richiamano il concetto di Winnicott di genitore “sufficientemente buono”.
Come genitori ci troviamo di fronte all’ardua impresa di far crescere i nostri figli cercando di recare meno danno possibile, quindi con l’aspirazione ad essere quasi perfetti o sufficientemente buoni.

Questo vuol dire avere la capacità di sintonizzarsi sui bisogni del bambino e rispondere in modo adeguato all’età, mettersi nei suoi panni, provare a sentire ciò che prova, che vive, per poi tornare nei nostri panni per potergli dare comprensione, contenimento, fermezza necessari perché costruisca gli strumenti che gli serviranno per affrontare la vita. Cercare la sintonia con lui è un lavoro che dura fino all’età adulta e richiede una buona dose di flessibilità, soprattutto durante l’adolescenza.

Sintonizzarsi sui bisogni ma anche assolvere al compito normativo, quindi dare le regole che lo aiutino a sentire il contenimento. Questo si esprime con la capacità di dare dei limiti, una struttura di riferimento, che corrisponde al bisogno del bambino di vivere all’interno di un sistema che abbia comportamenti coerenti. Per cui le regole sono condivise da entrambi i genitori e valgono nelle stesse situazioni. Non sono ambivalenti, non sono applicate ad intermittenza; tutto questo creerebbe confusione. La regola, inoltre, riflette l’atteggiamento genitoriale di fronte alle norme, alle istituzioni, alle regole sociali. Le regole contribuiscono a dare sicurezza al bambino.

Il lavoro del genitore tende a favorire nel figlio:

  • Autonomia
  • Sviluppo delle potenzialità
  • Tolleranza alle frustrazioni
  • Relazioni sociali soddisfacenti

 

Come rogersiana mi ritrovo nella necessità di centrarsi sui bisogni dei bambini, nell’essere empatici senza sostituirsi a loro, nell’avere fiducia che riusciranno ad estrinsecare le potenzialità se opportunamente seguiti.

Una condizione fondamentale è l’accettazione positiva incondizionata, che nel lavoro di genitore si esprime nel far sentire il figlio amabile sempre. Spesso questo concetto viene frainteso: i genitori dicono “..ma non posso accettare che faccia quello che vuole…”

E’ assolutamente corretto !

Ma non accettare un comportamento non è una squalifica della persona, non è un giudizio su come è l’altro, non lo fa sentire poco amabile.

E’ quando l’altro si sente giudicato o sente che non corrisponde al modello che il genitore ha costruito per lui o ancora sente di aver deluso le aspettative delle figure di riferimento che l’accettazione diventa “condizionata” e l’altro si sente amabile solo a condizione che….

Rogers in “Un modo di essere” (ed. Martinelli- 1980) :

“Uno dei sentimenti più gratificanti che io conosca sorge dall’apprezzare un individuo allo stesso modo in cui si apprezza un tramonto. Le persone sono altrettanto meravigliose quanto i tramonti se io le lascio essere ciò che sono. Quando osservo un tramonto non mi capita di dire: “addolcire un po’ l’arancione sull’angolo destro, mettere un po’ più di rosso porpora alla base, ed usare tinta più rosa per il colore delle nuvole”.

Vorrei chiudere con una poesia tratta dal romanzo “Il figlio perduto” (J. Myerson-ed. Einaudi -2010).

Il figlio adolescente si rivolge alla madre :

Quando avrai finito di dipingermi di rosso e nero,
per soddisfare la tua storia, bugie e realtà,
e avrai riconosciuto la mia verità,
che vivo o morto abiterò nei miei sogni.
Il mio luogo di salvezza, libertà
è la sola ragione per cui mi batte ancora il cuore.
Quindi quando ne avrai abbastanza di guerra e mi rivorrai,
messe da parte le aspettative per tutto ciò che non ho,
la mia barca starà ancora veleggiando,
oltre il limite dell’ambizione e nel sole,
dove potrai impegnarti a trovare l’uomo,
che è sempre stato, ed è ancora, tu figlio